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Queen I: un debutto troppo sottovalutato

Pubblicato da BettingMaker | lunedì, dicembre 03, 2007 | , , | 0 commenti »




"Queen" è uno dei debutti discografici più sottovalutati della storia del rock, quest' album ci fa tornare indietro fino al 1973, prima dei grandi classici come "Bohemian Rhapsody" o "Killer Queen" che consacrarono il successo internazionale del quartetto britannico. "Queen", pubblicato in Inghilterra il 13 luglio del 1973, costituisce la prima pietra a quella che sarà la cattedrale che Freddie e compagni riusciranno a costruire con il loro talento. L'album venne registrato presso i Trident e i De Lane Lea Studios, in Inghilterra, e prodotto da Roy Thomas Baker, John Anthony, Louie Austin ed i Queen. Gli assistenti di registrazione furono Roy Thomas Baker, Mike Stone, Ted Sharpe e Dave Hentschel. La registrazione proseguì per un lungo periodo di tempo, poiché la band usava le off-hours (i "tempi morti" tra le registrazioni di altri gruppi) per risparmiare. Nel retro dell'album la band fece includere il commento "No synthesizers" (nessun sintetizzatore), poiché alcuni ascoltatori avevano erroneamente ritenuto che alcuni effetti vocali e della chitarra fossero dovuti al sintetizzatore. I Queen erano già inseriti nel circuito universitario e dei club nei dintorni di Londra, quando venne concessa loro l'opportunità di testare i nuovi accessori di registrazione dei De Lane Lea Studios, che usarono per elaborare delle versioni pulite di cinque canzoni: "Keep Yourself Alive", "The Night Comes Down", "Great King Rat", "Jesus" e "Liar". Nonostante la qualità di tali registrazioni, nessuna casa discografica volle assumerli, eccetto la Chrysalis Records, che usarono per cercare di convincere le altre case. Nel 1972 vennero finalmente notati da Norman e Barry Sheffield, che stavano allestendo i Trident Studios. Il patto con la band principiante era che loro potessero registrare solo durante i tempi morti degli Studios, quando l'artista pagante fosse andato via (di solito tra le ore 3.00 e le 7.00). Un giorno, mentre attendeva che lo studio si liberasse, a Freddie Mercury fu richiesto di registrare delle parti vocali dal produttore Robin Cable, che stava lavorando su una versione di "I Can Hear Music" e "Goin' Back". Mercury si portò dietro anche Brian May e Roger Taylor, e il pezzo venne registrato. Questa situazione durò da giugno a novembre del 1972. A causa di queste limitazioni, in questo periodo la band si concentrò sul terminare un brano alla volta, prima di passare al successivo. I problemi sorsero immediati. La band aveva una grande considerazione dei demo registrati ai De Lane Lea Studios, ma il produttore Roy Thomas Baker chiese loro di re-registrare le canzoni, stavolta con un equipaggiamento migliore. "Keep Yourself Alive" fu la prima a venire re-registrata e ai Queen il risultato non piacque. La registrarono ancora una volta, ma nelle sessioni di mixaggio nessun mix andava incontro alle loro pretese, finché Mike Stone, dopo altri sette o otto tentativi falliti, con la sua prima prova incontrò l'approvazione dei Queen. Stone sarebbe rimasto come addetto al mixaggio e a volte anche come co-produttore per i loro cinque successivi album. La prima re-registrazione di "Keep Yourself Alive" venne più tardi pubblicata dalla Hollywood Records negli USA con il titolo di "Long Lost Re-take", con l'autorizzazione di Brian May. Un altro brano andò incontro a dei problemi: "Mad The Swine" era stata registrata per l'album, ma Baker e i Queen erano ancora in disaccordo, a causa della qualità del suono delle percussioni. Non avendo risolto la disputa, il brano venne lasciato fuori dall'album. Questo, comunque, apparve sul lato B del singolo "Headlong" pubblicato nel Regno Unito. La versione di "The Night Comes Down" che appare nell'abum è, infatti, il demo registrato ai De Lane Lea, poiché la sua qualità appariva migliore dello standard del resto delle canzoni dell'album. "Queen" mostra una band già matura ed in grado di comporre buone canzoni, sufficientemente articolate e con ampio spazio dedicato alle parti soliste (molto di più che nella maggior parte dei dischi successivi). Lo stile non è facile da definire: se brani come “Modern Times Rock and Roll” e “Son And Daughter” sono visibilmente Hard e dall’impronta decisamente Led Zeppelin, in “My Fairy King” e “Doing All Right” i Queen si comportano diversamente, alternando ai classici riff alla Jimi Page parti più calme, in cui a dominare sono le chitarre acustiche e il pianoforte. L’impatto tipicamente pop di “Keep Yourself Alive” contrasta non poco con la potenza di “Great King Rat” e “Liar”, nelle quali Mercury e compagni riescono a raggiungere picchi musicali discretamente alti anche senza l’utilizzo delle tastiere. Poi, con la riuscita “The Night Comes Down”, provano a cimentarsi in qualcosa di più sperimentale, con buoni risultati; come brano conclusivo ci regalano un'interessante versione strumentale di “Seven Seas Of Rhye”, che nel successivo “Queen II” avrà arrangiamento migliore e testo. Diventerà un classico del quartetto... Non si riesce però a comprendere bene con quale identità, a quel tempo, i Queen volessero apparire: nelle loro coinvolgenti esibizioni live si presentavano come un gruppo estremamente “glam” ma alcuni testi di “Queen” con frequenti riferimenti alla bibbia (“Jesus”, “Liar”), digressioni Fantasy ("My Fairy King") e “Pseudo-Lezioni Di Vita" (“Keep Yourself Alive”) di glam hanno ben poco. Tale oscurità è così evidente in certi brani che fa pensare a improvvisazioni vocali del momento, rimaste tali anche durante la registrazione finale dell'album. Questa voglia di significati misteriosi sarà uno dei fili conduttori dei primi lavori dei Queen. Per complicare ulteriormente il discorso intervengono i coretti molto “Yes” che compaiono di volta in volta un po’ in tutte le tracce. Musicalmente, di primo ascolto, si ha la sensazione di un prodotto che si allinea agli stilemi quegli anni, ammiccando a quella parte di pubblico infatuata dall'allora dilagante fenomeno del glam-rock. Ad un ascolto più attento, tuttavia, ci si accorge di come non manchino accenti e spunti del tutto originali. Soprattutto nei momenti più delicati è facile rimanere incantati da una certa freschezza compositiva, spesso modulata su una complicata ed elegante struttura musicale. È il caso della meravigliosa "My fairy king" e di "Liar". Una degna menzione merita l'orchestrazione delle chitarre: molteplici sono le sovraincisioni e gli effetti stereo, tutti rivolti a regalare coralità, enfasi ed un alito di epicità ai brani. Il lavoro alle sei corde appare graffiante e assai appropriato per il mood dell'album. Un lavoro a tratti strepitoso che un giovanissimo Brian May riuscì ad ottenere dopo numerose sperimentazioni, aiutato, a quanto sembra, anche dalla sensibilità creativa di Freddie. "Keep Yourself Alive" è una una prova da equilibrista alle sei corde che ricalca il rock vero, pungente, a tratti rude del panorama musicale dei primi anni 70. La raffinata severità dell'interpretazione vocale, seppur nel caos di una musicalità volutamente chiassosa, è limpida e saggiamente intessuta su trame armoniche accattivanti e di sicuro effetto. E' un treno in corsa che pare non abbia fermate, né una destinazione. Il brano sta nella prova vocale di Freddie e in quella chitarristica di Brian, mentre tutto il resto asseconda quel gusto viscerale per suoni energici e dalle vaghe cadenze afro-tribali. Musicalmente, dopo un crescendo "rossiniano" di chitarra elettrica incanalata su effetti stereo dall'indubbio fascino, si può legittimamente affermare che il brano "esploda" nel ritornello, subito dopo convulse, rapide e sibilline strofe introduttive. Un intermezzo affascinante di percussioni e una capatina vocale di Roger (e anche di Brian, a seconda della versione presa in esame) accrescono di consistenza l'intero brano. Riguardo ai contenuti, il testo è un chiaro invito a tenere duro di fronte alle avversità; è un avvertimento dei pericoli e degli ostacoli che tutti, prima o poi, troveremo per il nostro cammino. A questo, tuttavia, fa eco una certa rassegnazione, soprattutto nelle prime strofe, e una mesta constatazione dell'inconsistenza delle illusioni giovanili. Primo singolo dei Queen in assoluto (uscito il 6 luglio 1973), non raggiunse alcuna posizione significativa nelle classifiche discografiche inglesi, ma, per tutti gli anni '70, divenne un acclamato successo nei concerti dei quattro Queen. "Doin' Alright": scritta da Brian May e Tim Staffel, ri-arrangiata dai quattro Queen attraverso una trasposizione introduttiva per pianoforte, è dapprima un dolce e solare messaggio di freschezza vitale, di ritrovata gioia di vita, mentre la parte centrale si segnala per una intensa e forse un po' caotica performance rockeggiante. È un brano "da tè pomeridiano", studiato per assorbire il meglio della raffinatezza musicale inglese e per combinare la morbida dolcezza della melodia ad una decisa e maschia vena rock! Si segnala anche per i frequenti e repentini cambiamenti di ritmo e di "sapore" musicale. Questo è uno dei pochi brani dei Queen che vede Brian May al pianoforte.In questa occasione, Brian suonò anche la sua vecchia chitarra acustica Hairfred, una cosa che fece altre volte per brani come "White Queen" (As It Began) e "Jealousy". Compare come retro del singolo americano "Liar". "Great King Rat": E' un rock atipico, primo esempio della multicolore vena creativa di Freddie Mercury, così lontana da una monocromatica staticità espressiva, sempre alla ricerca di intense sensazioni attraverso inconsuete trovate musicali. Su un ritmo spagnoleggiante, percosso dall'elettricità di certi riffs e da un vivacissimo ed appropriato gusto per suoni rudi e sincopati, prende forma questo capolavoro dai temi ermeticamente religiosi. La parte strumentale centrale, mai noiosa e costantemente frizzante, esalta le doti di Brian May il quale, non senza un certo compiacimento in quei simil-assoli, rende epica una melodia strozzata, convulsa, singhiozzante. Un certo e voluto riverbero (o eco) nella prova vocale di Freddie pone l'accento sull'atmosfera mistica del brano. Ottimo Roger Taylor. Superlativo Brian May quando strizza l'occhio alla melodia con la sua chitarra. My Fairy King: Il luogo incantato (Rhye) dove Freddie vorrebbe portarci attraverso le parole di questa favola dal finale crepuscolare, non potrà mai elevarsi a paesaggio fatato quanto la sublime e intricata struttura melodica del brano. Il misterioso e gridato incipit, che rimanda la mente a grandi spazi aperti dai cieli plumbei, lascia il posto a una nenia in crescendo attraverso un falsetto delizioso che, pian piano, diviene un dolcissimo fremito d'amore che percorre tutta la canzone (quella nota ripetuta su cui costruisce la prima parte del brano è un tema che più tardi riprenderà in "Killer Queen" e "Bohemian Rhapsody"). Le sovraincisioni di voci, una chitarra elettrica profonda e mai così opportunamente dosata, l'eco deliziosa e ripetuta, e atmosfere musicali vagamente operistiche-orientali, rendono la parte centrale meravigliosa all'ascolto. Tutto è connotato di una sublime vena intimista. E il ponte che collega il ritornello all'epilogo di pianoforte, è un momento di pura esaltazione musico-vocale: Freddie che risponde a sé stesso è un Eden di voci angeliche! L'epilogo? La quiete dopo la tempesta. Un dolcissimo compendio della sensibilità musicale di Freddie, così multiforme e variopinta! Dopo un canto soavissimo al piano il brano, prima di concludersi, si trasforma in un accorato fuggi fuggi strumentale che trasmette angoscia, disperazione, paura. Sul testo c'è poco da dire: tutto è fantasia e mistero. Sembra che il mondo fatato di Freddie sia stato distrutto dall'avvento di qualcosa o di qualcuno. La magia è scomparsa, la serenità è trasformata in incubi, e l'invocazione materna quale ultima speranza. In questo episodio anche Roger Taylor mostra le sue doti vocali, raggiungendo le più alte note della sua carriera. Da notare che Mercury prese in prestito alcuni versi da una poesia di Robert Browning, "The Pied Piped of Hamelin". Capolavoro! "Liar": Uno zibaldone di momenti musicali di grande fascino, il tutto immerso in sonorità graffianti e finemente lavorate. Un lavoro di gruppo partito dall'input di Freddie, ma avvitato su una splendida performance strumentale da parte dei nostri. Riprendendo parte di una composizione giovanile dell'epoca Ibex (il titolo allora era "Lover"), i Queen riescono a palesare nuovamente il loro spirito poliedrico costruendo un masterpiece complicato e dalle forti tinte rock. Un brano musicale che non stanca, che sorprende per potenza e per quell'anima creata appositamente per reggere l'impatto concertistico. Seppure meno sottile di altre prove compositive e, di tanto in tanto, velato da un'acerba e quasi rude foga rock (negli assoli), Liar riesce bene a raggiungere le profondità musicali e lo scopo prefissato dai Queen è presto raggiunto: si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un'opera completa racchiusa in poco più di 6 minuti di brano. Numerose sono i cambiamenti di ritmo, di melodia e, non di rado, di gusto musicale. Da antologia la parte "you're lying to me father please forgive me, you know you'll never leave me...". L'intermezzo è uno stanco, ma accattivante passaggio simil-gospeliano. Il finale è poderoso e compatto, rivelando passaggi di elegante e sentito rock. Graffiante e camaleontica! Uscito anche come singolo negli Stati Uniti (retro Doin' Alright) in una forma edit (tagliata). "The Night Comes Down": Dall'atmosfera plumbea e misteriosa alla sottile e femminea interpretazione vocale, dal ritornello corale al testo fatalista e nostalgico, tutto, in questo brano pieno di gusto, è pervaso di malinconia. Eppure la tessitura melodica appare profonda e dall'ampio respiro, mentre deliziosa e solare è la vivacità interpretativa. Quell'introduzione dalle tinte seppiate e funeree che si getta in una strofa dai color pastello è un bellissimo momento che sottolinea lo stato di smarrimento nel quale sembra vivere il protagonista del testo. La leggiadra e fanciullesca ninna nanna della prima strofa si trasforma in un grido di sofferenza, in un tentativo apparentemente vano di ricerca d'aiuto. Non vi è una grande prova strumentale perché tutto è rivolto a sottolineare con pacatezza e decisione l'innocenza del protagonista, il suo passato roseo e l'attuale disorientamento dovuto all'oscurità. Così il brano rimane avvolto da leggere cadenze classiche che aprono un varco tra rock e musica leggera. Bravo John Deacon (o Deacon John, come viene chiamato il nostro bassista nei credits dell'album!). Nel testo della canzone è presente anche un riferimento ambiguo a "Lucy in the Sky with Diamonds": "When I was young it came to me; And I could see the sun breaking; Lucy was high and so was I; Dazzling, holding the world inside". May è per sua stessa ammissione un fan dei Beatles ed in numerose interviste ha dichiarato l'influenza avuta dalla band britannica. La versione presente in "Queen I" (l'unica conosciuta!) è tratta dalle sedute di registrazione ai De Lane Lea studios del 1972. È quindi una registrazione praticamente in presa diretta! Gemma preziosa! "Modern Times Rock And Roll": La prima prova di Roger come compositore vorrebbe strizzare l'occhio ad un rock and roll allegro e un pò festaiolo, non è un pezzo memorabile ma a me non dispiace. Gradevole. "Son And Daughter": Di nuovo una rappresentazione, seppure con una marcia in meno e una verve compositiva più pacata rispetto ad altri brani, del tipico rock primi anni '70, rivisitato secondo una chiave personale e qua e là farcito di brillanti trovate. Tuttavia il brano si trascina non senza qualche difficoltà, ma appare anche una certa maturità ad un livello che difficilmente si riscontra altrove, soprattutto nelle parti in cui Freddie riesce a modulare la voce su registri sensuali e sottili e laddove Brian si inventa interessanti fraseggi chitarristici. Questi ultimi, per la verità, si limitano ad accompagnare melodicamente il brano, ma certi spunti (soprattutto nella parte centrale del pezzo) donano una certa consistenza, mentre il finale riesce a far emergere quel carattere di novità e freschezza che sono la virtù principale dell'album "Queen". Retro del singolo "Keep Yourself Alive". "Jesus": Il testo infantile e anche un po' ingenuo di questo brano prende spunto da episodi narrati in alcuni Vangeli. Ma quello del tema religioso e più precisamente del Cristo Salvatore venerato e osannato dalla folla e annunciato al mondo dai re magi, è forse solo un pretesto per porre l'accento sul ritornello corale, che ha in se una vaga pretesa rock-gospel (quest'ultimo, genere quasi esclusivamente a carattere religioso, nato nelle comunità afro-americane. Genere molto amato da Freddie!). Ma fermarsi al semplice testo di questo brano significa, in realtà, compiere un grande errore! "Jesus" è uno splendido affresco che, in alcuni punti e grazie soprattutto all'abilità di Brian, riesce a raggiungere profondità musicali inaspettate Da brividi la parte strumentale a metà brano con stupende pennellate di chitarra elettrica, mentre la voce di Freddie, così limpida, cristallina, forte e piena di emozioni, dona al brano un'indubbia unità di forma. In sostanza sorprende molto il tema del brano poiché Freddie proveniva da una famiglia praticante il culto Zoroastriano (sembra che venne scritto da Mercury, probabilmente con intento canzonatorio, mentre, seduto al tavolo di un bar, stava osservando un gruppo di fedeli uscire da una chiesa), e risultano magnifiche le parti strumentali (nonostante qualche concessione di troppo a un rock fracassone - vedi Doin' Alright - !). 30 e lode! "Seven Seas Of Rhye": Un breve assaggio di quello che diverrà, alcuni mesi più tardi, il primo singolo top 10 dei Queen. Questa versione è strumentale, dura poco più di un minuto e rappresenta la nascita prima di "Seven Seas Of Rhye", così come appare nell'album "Queen II" (1974). Divertente e allegra trovata di piano. In definitiva, molti l'hanno definito ancora un album grezzo, imparagonabile ai futuri successi, altri l'hanno reputato un album sottovalutato ma una cosa è certa: "Queen" crea una solidissima base su cui tali successi saranno fondati, integrando già tutti quei classici elementi che distinguono i Queen da ogni altra band rock.



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