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Quando il rock incontra l'opera: Bohemian Rhapsody (seconda parte)

Pubblicato da BettingMaker | martedì, gennaio 29, 2008 | , , | 0 commenti »




Che dire invece su "Bohemian Rhapsody"? Hard rock, lirica, pop; tutto è concentrato nei sei interminabili minuti di questo brano, in cui si ha la sensazione di attraversare mondi e dimensioni sconosciuti, come l'improbabile protagonista della canzone, prima carnefice e poi vittima di una schiera di diavoli affamati della sua anima. La genialità dei Queen è espressa in un’operetta che si articola in tre cambi di tempo. Nonostante il singolo non fosse propriamente radiofonico ottenne subito un successo notevolissimo in Inghilterra dove arrivò alla numero uno. L’esperimento di una canzone con tre cambi di tempo era stato già provato dai Beatles in “Happiness Is A Warm Gun”, dove arrivarono ad unire tre diverse canzoni. La “Bo Rap” inizia con un accompagnamento di pianoforte che si collega alla parte corale tramite un sottile ricamo di chitarra di Brian May. La parte corale, la più interessante, fu registrata in una settimana, e durante i concerti, quando veniva eseguita la canzone, non era cantata “live”. Le voci dei quattro Queen si intrecciano, si sovrappongono a creare notevoli effetti polifonici. L’ultimo cambio di tempo è costituito dalla parte finale, dove c’è un’esplosione hard rock. La voce di Mercury arriva di diritto nell’Olimpo, la chitarra di May spara suoni hard rock devastanti, e poi improvvisamente, da questa bufera sonora, la quiete, resta solo la voce di Freddie e il suo fedele piano “Nothing really matters / anyone can see / nothing really matters / nothing really matters to me / Anyway the wind blows.” Il gong finale chiude una cavalcata di rara bellezza. "Bohemian Rapsody" è un prodigioso riassunto di alcuni secoli di storia della musica popolare europea e non. Ci sono i canti di Natale in chiesa, i Platters, i Led Zeppelin, l'opera, il melodramma di Monteverdi, le cantate di Bach, le melodie corali di Verdi, Frank Sinatra, il musical di Broadway. Il tutto preso e frullato senza rispetto per successioni cronologiche: il canto da chiesa si innesta sulla power-ballad, assoli di chitarra conducono dalle atmosfere del cabaret a quelle dell'Opera, in un tripudio di sovrancisioni vocali, spunti melodici, riff travolgenti che simulano le progressioni dei fiati in un orchestra fra cori angelici e demoniaci, senza perdere mai di vista il tema melodico principale. Il finale della "Serata all'Opera" è in pompa magna. La chitarra di May si concede il lusso di suonare l’inno inglese “God Save The Queen” in chiave parodistica, imitando così Jimi Hendrix che a Woodstock aveva scolpito l’inno americano, tra distorsioni e dissonanze, nella storia del rock. L'intero disco potrebbe costituire la colonna sonora di un musical, se solo avesse un'unita tematica. Meraviglioso masterpiece!!!



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