L'album è stato inciso a Londra nei Trident Studios nell'agosto del 1973, ed è stato pubblicato in ritardo rispetto alle previsioni data la crisi del petrolio. Pubblicato nel Marzo del 1974, “Queen II” segue di pochi mesi il precedente “Queen I” e, per certi aspetti (i temi trattati, alcune similitudini di contenuti…) ne è l'ideale seguito ed epilogo; di contro, là dove l'analisi si sofferma sullo stile, non mancano le differenze: ai brani è conferita un'eco epica nei temi e nelle musiche che influenza l'intero mood dell'album. Al rock energico e viscerale di “Queen I” si contrappone un'eleganza curata con dovizia certosina, una raffinatezza voluta, spesso mirata a sottolineare implicitamente la sottile melodia di un brano. “Queen II” è una sinfonia unica e indivisibile, non un album di brani a sé stanti. Ne consegue che ogni traccia è l'epilogo della precedente e il prologo della seguente… solo "Seven Seas Of Rhye" (che tra l'altro è uno sviluppo di un brano strumentale apparso su “Queen I”) uscì come singolo a riprova dell'indivisibilità dell'album. Non è il primo caso né l’ultimo ma mai livello così elevato e perfetto tecnicamente fu forse mai raggiunto, eccetto che in “A Night At The Opera”, sia dai Queen che da altri gruppi. Ci chiediamo: Come mai sia possibile che dal primo al secondo album ci sia un maturità tale? I Queen hanno capito su che strada muoversi ma è il binomio Mercury/May che raggiunge e che scavalcherà quello Plant/Page. Invece dell'indicazione canonica Lato A e Lato B, i lati dell'album sono stati indicati con la dicitura Lato Bianco e Lato Nero. Il primo lato dell'album è formato da canzoni composte dal chitarrista Brian May (come "Father To Son o "White Queen"), mentre il secondo contiene canzoni composte da Freddie Mercury, tra le quali spiccano la ballata "Nevermore", "The March Of The Black Queen" o "Seven Seas Of Rhye", primo brano dei Queen ad entrare nella top ten nazionale. I due lati sono intervallati da un brano di Roger Taylor, "The Loser In The End". La distinzione fra Lato Nero e Lato Bianco è dovuta ai differenti caratteri dei compositori. Il bianco e nero stanno a significare come viene vista la figura della regina dai due musicisti. Freddie Mercury, ad esempio, nel brano "The March Of The Black Queen" la immagina vestita di nero che avanza portando scompiglio e paura. Brian May invece, dotato di un carattere più tranquillo di Mercury, la descrive come una dolce regina bianca nel brano White Queen. Se l’album di esordio apre un sipario molto scoppiettante, siamo ora totalmente allo scuro. La prima traccia è "Procession": intorno a voi si crea un'atmosfera misteriosa, medievale: tutto scaturisce da una semplice moneta che cammina su sei corde. È Brian May l'artefice di questa marcia "quasi" funebre, è suo il sapiente gioco strumentale che da accordi in minore passa in maggiore con un accompagnamento basso ed una sovraincisione alta: farà capire che quella piccola marcia è invece indice del lato “White” dell’album, quello tutto suo ma aspettiamo a dire che sarà un album solare! Sembra piuttosto di assistere ad una solenne marcia di un santo... poi tutto sfuma, e ai nostri occhi si presentano nuovi orizzonti... Si apre il sipario: La Regina va in scena. I 4 personaggi scuri nella cover si materializzano. La seconda canzone "Father To Son" è un inizio trionfale ed anche un inno alla relazione padre/figlio che per Brian ha sempre significato molto. Lo stesso May, in un'intervista del 1986, dichiarò che suo padre fu un esempio di compostezza. L'atmosfera rimane "medievaleggiante", Cori e sovracori dominano la scena, accelerazioni con ritorni esplosivi di hard rock per smorzare in lentezze quasi paradisiache. Quando un pezzo è lungo, non può essere altrimenti. May lo impara dalla teoria del “long poem” di Wordsworth, il quale, sosteneva che la poesia è fisiologia e che solo quando è breve può essere massima, se è lunga deve avere momenti di alti e bassi. In tutta la discografia Queen ci saranno riferimenti costanti al mondo letterario. La chiusura del pezzo è sfumata e trionfale. A parte il ripetitivo finale, regala momenti di pura manna per le orecchie, fino a dissolversi nuovamente in un'atmosfera che paradossalmente è cupa, ma allo stesso tempo è candida e soffice come il cotone. Segue "White Queen (As It Began)" ed è ancora uno strepitoso May che ci conduce per mano nei meandri di un passaggio gotico: nell’epoca in cui il videoclip non esiste ancora, il suono lugubre della Red Special è quasi come un pennello, ci sembra di vivere ogni situazione, incredibile! La chitarra di Brian piange, un mesto Mercury accompagna questa tristezza e si cammina per una valle oscura invocando la Regina Bianca che con il suo potere è capace di stregare il poeta e di far impallidire la notte. A May non resta che attendere invano, dando sfogo ad un arpeggio classico seguito da fruscii incogniti che, al comparire della Regina nell’ oscurità, danno vita ad uno dei momenti più intensi della storia della musica. La chiusura è mesta “As It Began”. Un canto d'amore lento ma inesorabile verso una scontata e triste conclusione. Questa traccia venne proposta incessantemente nei primi concerti ma poi fu dimenticata dopo la svolta commerciale. Dopo il susseguirsi continuo delle prime 3 traccie si profila un momento di pausa: in "Some Day One Day" troviamo una melodia country-blues, una song forse con una vena un po' pop, ma comunque orecchiabile e gradevole. Nonostante i temi gotici affascinanti in esso contenuti e una variazione niente male nell’inciso, non cattura. È anche il primo pezzo che Brian canta e le sue abilità canore sono ancora da affinare. L'intermezzo si prolunga con “The Loser In The End”: il brano non ha molto a che fare con l'album ma forse Roger lo scrisse e decise di cantarlo per forza! Questo ritratto della madre generosa ma "perdente" ci fa tuffare nel mondo pessimistico e (successivamente con "Drowse") rarefatto del batterista dei Queen, spesso sottovalutato come tutti gli altri membri del gruppo. La canzone non morde, né scuote l'animo, per colpa anche di un mixaggio non all'altezza, per questo meriterebbe l’insufficienza ma l'ottima prova vocale di Roger Taylor la salva. Dopo un discreto assolo di May, la canzone si dissolve, e si cambia faccia, passando alla "Black Side", ed è qui che comincia il bello! Freddie dà sfoggio a tutta la sua abilità favolistica e mitologica, memore della letteratura tardo-gotica inglese, ed avvia il lato scuro dell’ album con "Ogre Battle". Una lenta esplosione incombe nella nostra testa, fino ad alterarsi in un urlo stridulo, che rieccheggia in effetto "riavvolto" della chitarra di Brian May, che ci introduce alla canzone, brano dai toni Epic-Metal che conquista e stupisce per i riff taglienti e il ritmo coinvolgente. La battaglia degli orchi esplode: grandi e piccoli sognerebbero. Questi orchi al calar della notte si radunano solo se “il pifferaio suona e la tua zuppa è fredda sul tavolo mentre il corvo vola…”, orchi che divorano l’ oceano e che spesso testano la loro forza in battaglie mitologiche. Non ci si annoia proprio. Fantastico! Subito ci addentriamo in un clima "Pseudo-progressive" di stampo non tanto Genesisiano come molti critici hanno erroneamente affermato, ma in un'atmosfera che ha il marchio Yes, con una descrizione di strampalate quanto fantastiche figure irreali che sembrano quasi messe lì a caso. "The Fairy Feller’s Master Stroke”. Tradotto significa: il colpo maestro del taglialegna. Mercury, diplomato al Ealing College di Arte, conosceva l’omonimo quadro di Richard Dadd. Una fiaba zampillante. Una cerchia di creature da “Sogno di una notte di mezza estate” che si radunano nei boschi ad assistere al taglialegna che sferrerà un colpo d’ ascia per rompere la noce. Mercury, con ritmo incalzante e accordi che tra di loro infrangevano di molto le leggi armoniche, crea uno dei brani più intriganti dell'album descrivendo ogni personaggio presente nel dipinto di Dadd. Su un melanconico e sofferto discorso musicale al pianoforte, Freddie ci delizia con la sua voce attraverso una melodia che sollecita il cuore e le emozioni, questa è “Nevermore”. Freddie Mercury come Edgar Allan Poe nella poesia del “Corvo” ripete mai più ad ogni domanda dell’ innamorato che chiedeva se la sua lei fosse innamorata o addirittura viva. Quella risposta ossessionante è il motivo della disperazione. Un brano da 10 e lode. Dimenticatevi la precedente toccata lenta di "Nevermore", quella stessa toccata si trasforma in una solenne marcia, che stavolta non è destinata ad un santo, ma ad una sua specie di opposto... Non è più quella regina misteriosa del lato bianco ma questa è la regina nera, che ha il regno nella mano sinistra e la legge nella destra. È la regina della notte; spietata, come in un gioco a scacchi tra bianchi e neri (proprio come le unghie della mano sinistra che si dipingeranno d’ora in poi May e Mercury) regna sovrana ed incontrastata nelle tenebre con entrambe le mani (ideologia totalizzante politica?). È affascinante, meschina, “bolle, sforna e non mette mai i puntini sulle i”. Almeno tre generi musicali (il rock, il melodico e l'heavy) trovano la loro ideale collocazione. Targata ancora Mercury, è la summa del lavoro svolto finora. Tocca vertici assoluti per l'eclettica interpretazione di Freddie e per la parte strumentale dosata con intelligenza ( marcia, salti, tamburi impazziti, cori altissimi e sempre ben organizzati, variazioni infinite, tregue, cavalcate, interruzioni, riprese). "The March Of Black Queen" è una mini-suite di sei minuti e mezzo, divisa in quattro sezioni, la parte solenne iniziale, dove "La marcia della regina nera" viene introdotta nelle sue sfumature più oscure, tra cori magniloquenti e arrangiamenti taglienti e molto, molto complessi... poi la parte centrale fa da ponte tra la parte precedente e la parte successiva, ed è una sequenza più lenta, un dialogo lento e dolce tra Freddie ed il suo piano, fino a sfociare nel tripudio trionfante e oscuro della regina nera, rappresentata dai graffianti riff di Brian, la voce immensa di Freddie, ed una prova incredibile di Deacon al basso. Dopo l'emozionante tripudio, "The March of The Black Queen", si chiude con breve dialogo piano-chitarra, per poi passare ad uno strano canto trainante, che incita a dimenticare la regina nera per tornare in un mondo più ripetitivo e petulante, ma non per questo meno affascinante. "Funny How Love Is" è una disincantata esaltazione amorosa, un gioco di cori che dosa bene eleganza e forza melodica. Affascinante come una casa vittoriana in puro stile inglese! La struttura musicale e la coinvolgente melodia sono all'ascolto liete come il canto primaverile degli uccelli, mentre il feeling della canzone ricorda l'onda lieve di limpidi specchi d'acqua alpini... tutto è lieto, eppure tutto è pura esaltazione corporea, dove i sensi non subiscono passivamente l'amore, ma sono anch'essi parte di quel meccanismo passionale che coinvolge spirito e corpo. Però questa canzone avrebbe meritato ben altro mixaggio: il brano svanisce con un fade out che comincia a metà brano, mentre il volume dell'intera struttura vocale è troppo basso rispetto a quello della parte strumentale. “Seven Seas Of Rhye” è una canzone che ripercorre il tema principale della "Black Side", ma era già nata prima di Queen II, anche se ora è stata perfezionata. Freddie Mercury la organizza ancora col suo gusto poetico immaginandosi una creatura sovrumana che scende dall’alto e reclama i suoi mari di Rhye con un ritmo davvero coinvolgente. L' allegro e veloce movimento al pianoforte, I riff pungenti di Brian e la buona batteria di Roger Taylor rendono l'attraversata dei mari davvero piacevole! Il singolo raggiunge il 10° posto in Inghilterra. In definitiva “Queen II” è un album per palati fini, lontano dai riverberi allegri e irresistibili di "Keep Yourself Alive", più vicino alla raffinata e complicata leggerezza di "The Night Comes Down".
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Queen II
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